Non cambia di una virgola la sua versione, Nino Di Matteo. Continuando a puntare il dito contro il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, accusato di essersi rimangiato la promessa del posto di capo del Dap a seguito delle rimostranze di alcuni boss mafiosi, per nulla soddisfatti della scelta, ovvero di precisi diktat provenienti da altri pezzi dello stato. Un ricostruzione che il magistrato continua a sostenere ancora, nonostante le polemiche che lo hanno travolto, con il governo a fare quadrato intorno all’esponente del Movimento Cinque Stelle. E ribadita anche in un’intervista concessa a Liana Milella per Repubblica: “I fatti sono quelli, il mio ricordo è preciso e circostanziato”.
“Era lunedì, il 18 luglio. Ero a Palermo a casa, il giorno dopo sarei tornato a Roma. Squillò il telefono, era Bonafede. Con lui non avevo mai scambiato prima una parola, c’era stato solo un incontro alla Camera. La conversazione durò 10-15 minuti. Bonafede mi propose l’alternativa tra andare a dirigere il Dap e prendere il posto di capo degli Affari Penali. Aggiunse che dovevo decidere subito perché di lì a poco ci sarebbe stato l’ultimo plenum utile del Csm per presentare la richiesta dei fuori ruolo. Richiesta che per il Dap era urgente”. Aggiunge Di Matteo rispetto alla telefonata a Giletti e continuando: “Mi dispiace, ho già scelto Basentini” gli però comunica il ministro rispetto allo “Scelga lei” di prima. Bonafede a quel punto propone a Di Matteo gli Affari Penali, sostenendo che lì “non c’è dissenso che tenga”, come se invece, sul fronte Dap, ci fosse . Il tutto dopo che, mentre i giornali pubblicavano notizie sul possibile approdo di Di Matteo al vertice del Dipartimento, era arrivata la rabbia dei boss dalle carceri.
A chi in queste ore ha accusato Di Matteo di aver tirato fuori questa vicenda soltanto ora, in un momento complicato per un governo che annaspa in cerca di soluzioni per la crisi economica figlia della pandemia, il magistrato risponde: “Per alto senso istituzionale non potevo dire perché non aveva nominato me. Anche se c’era chi faceva le ipotesi più fantasiose. Avessi parlato sarebbe parso fuori luogo, un’indebita interferenza”.
Di Matteo, che pure in questi mesi ha difeso alle volte le scelte di Bonafede sul fronte Giustizia, rivendica il suo diritto di ribadire come sono andate le cose. Qualcuno, dalle parti del governo, dovrà pur rendere conto dell’accaduto del perché un ministro piega il capo ai diktat, di mafiosi in carcere o meno, di altri nelle istituzioni, non è coerente per chi un tempo gridava “onestà ” nelle piazze, dovrebbe saperlo bene e riaprire la scatoletta di tonno che ha chiuso.