08 maggio 2020

📗 IL PASTICCIACCIO BRUTTO DI VIA ARENULA


BONAFEDE AL BIVIO, CONTE IN BILICO – STEFANO FOLLI: O IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA RIPORTA IN CELLA ALMENO I PIÙ PERICOLOSI TRA I CAPI MAFIOSI NELLE PROSSIME ORE, O SI DEVE DIMETTERE! 
IL DECRETO IERI SERA ERA ANCORA UN FOGLIO BIANCO. E SI CAPISCE: NON SI POSSONO RIMANDARE I MAFIOSI IN CARCERE PER DECRETO, CHECCHÉ NE DICANO I 5STELLE. E' MATERIA PER GIUDICI DI SORVEGLIANZA, DI APPELLO, DI CORTE D'ASSISE – E SE CADE BONAFEDE, RUZZOLA ANCHE CONTE... 
Stefano Folli per “la Repubblica”

Non deve stupire se alla fine Renzi e il manipolo di Italia Viva non voteranno la sfiducia al ministro Bonafede. È un documento del centrodestra e il senatore di Scandicci non è tipo da andare dietro a Salvini oltre un certo limite.
Qualche incontro, molte parole, nessun impegno concreto, un rimbalzo mediatico sui "due Matteo" uniti nel logorare il governo Conte...tutto questo fa parte del gioco di palazzo che riprende quota man mano che il Covid s' indebolisce e si apre la voragine dell' economia.

Ma votare insieme all' opposizione, nel momento in cui almeno su questo punto (forse solo su questo) Berlusconi, Giorgia Meloni e il capo leghista si ritrovano compatti, non fa parte del repertorio renziano.

D' altra parte, nessuno può credere che il caso Bonafede sia risolto e che l' esecutivo ne esca rinfrancato. Al contrario, la vicenda dei malavitosi mandati ai domiciliari si arricchisce di nuovi particolari, nessuno incoraggiante, e la matassa si aggroviglia.
Chi ha gestito fin qui la vicenda, sia sul piano tecnico sia nei suoi risvolti politici, si è assunto una responsabilità agli occhi di un' opinione pubblica disorientata.
Responsabilità che nel caso di Bonafede è oggettiva, tipica di chi come ministro deve rispondere politicamente dell' operato del suo dicastero.

Il Guardasigilli sta tentando di riparare al danno prodotto. Ma come farlo, attraverso quali strumenti amministrativi, è assai più complicato del previsto, segno di una generale sottovalutazione iniziale.

Il decreto, che avrebbe dovuto risolvere il problema con un colpo a effetto, ieri sera era ancora un foglio bianco. E si capisce: sono in ballo delicati aspetti che toccano lo Stato di diritto, anche quando i protagonisti sono fuorilegge, nonché precise prerogative della magistratura.
Quindi la questione è al tempo stesso drammatica e piuttosto semplice nella sua dinamica. O Bonafede risolve il caso nelle prossime ore, armandosi di un decreto inattaccabile che riporti in cella almeno i più pericolosi tra i capi mafiosi, ovvero la sua permanenza alla testa del dicastero di via Arenula diventerebbe poco plausibile.

Non solo: una difesa a oltranza da parte dei Cinque Stelle di questo loro esponente che non è - va ricordato - un personaggio di secondo piano, produrrebbe un' onda destinata a rovesciarsi su Palazzo Chigi, cioè il livello politico superiore.


Conte può ancora dimostrare che il pasticcio è nato e si è gonfiato presso il ministero della Giustizia, a sua insaputa, ma ciò presuppone che Bonafede sia lasciato al suo destino (sempre, va ribadito, che la vicenda non si risolva in brevissimo tempo e senza ulteriori passi falsi).
Viceversa, è probabile che a rispondere sarà il premier.


In ogni caso, la difesa del ministro in una causa pressoché indifendibile non è senza un prezzo. Se la ferita non si richiude in pochi giorni, i Cinque Stelle potrebbero dover decidere tra la lealtà verso Bonafede e la sopravvivenza del governo di cui fanno parte con loro piena soddisfazione. Bisogna sottolineare: sopravvivenza. Perché in ogni caso la navigazione del Conte 2 è e rimane faticosa. C' è da credere che lui stesso ne sia consapevole dietro l' ottimismo di maniera.


Forse, come dice Zingaretti, se si apre la crisi si andrà a votare e molti nodi si scioglieranno. O forse qualcuno, magari anche nel Pd, ha in serbo una soluzione che tirerà fuori al momento opportuno.

2 - IL MINISTRO FALLISCE L'OBIETTIVO ATTACCATO ANCHE NEL GOVERNO
Annalisa Cuzzocrea per “la Repubblica”

Alfonso Bonafede sa, lo ha capito, che indietro non si torna. Non si possono rimandare i mafiosi in carcere per decreto, checché ne dica la propaganda del Movimento 5 stelle. Non si può neanche decidere, per decreto, cosa devono fare e quando i giudici di sorveglianza, di appello, di corte d' Assise.
Il ministro della Giustizia al question time ha tentato ancora una volta di difendersi: «Invito tutti a fare un' operazione di verità: le scarcerazioni sono avvenute in virtù di leggi non di questo governo, ma che erano lì da anni e che nessuno aveva mai modificato».
E ancora: «Nel decreto "Cura Italia" nessuna legge porta alla scarcerazione dei mafiosi, che sono invece esclusi dai benefici».


Tutto vero, ma quello che viene imputato al Guardasigilli dall' opposizione e dall' interno della sua stessa maggioranza è di 
nonessere stato in grado di capire quello che stava succedendo. Di gestire il fenomeno. Di prevedere le conseguenze della circolare con cui il Dipartimento di polizia penitenziaria invitava i direttori delle carceri - a causa dell' emergenza Covid - a verificare lo stato di salute e di particolare fragilità di tutti i detenuti. Senza indicare in alcun modo delle soluzioni alternative ai domiciliari per i più pericolosi.

C' è un' aria avvelenata e impaurita, nella maggioranza di governo. Il Movimento 5 stelle fa quadrato attorno a Bonafede, parte la batteria di sostegno e il consueto post sul blog con cui viene definito un ministro «scomodo per i poteri forti».

Ma all' interno dello stesso esecutivo c' è chi denuncia: «Per tutta l' emergenza ha lavorato quasi sempre da casa, da Firenze, non si dirige così un posto delicato come via Arenula ». Di più: il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra fa sapere di aver chiesto a lungo al Dap l' elenco dettagliato di tutte le persone scarcerate a causa dell' emergenza sanitaria, senza avere risposte in tempi congrui.

Di qui, un duello sulla convocazione di Bonafede in Antimafia, che tarda a essere fissata. Il tweet del senatore M5S ieri è sembrato quasi un atto di accusa nei confronti del governo per la gestione dell' intera vicenda: «Cosa nostra, come tutte le mafie - scrive Morra, che di Bonafede non è mai stato amico - non verrà sradicata e dissolta fino a quando ci sarà un solo mafioso che trova in un esponente del potere democratico la disponibilità alla conservazione dell' esistente, al compromesso sugli ideali, al ripudio dei valori costituzionali ».

Un attacco a salve, senza un destinatario preciso, ma che mina ancora di più la maggioranza nel momento in cui proprio a Palazzo Madama, la prossima settimana, si dovrà votare la mozione di sfiducia contro il Guardasigilli presentata da un centrodestra a sorpresa compatto. E con la minaccia di Italia Viva ancora in sospeso: quel testo è fatto apposta perché Matteo Renzi e i suoi possano votarlo in nome delle battaglie garantiste fatte.

Così, dopo il question time, Bonafede si è chiuso al ministero a lavorare. Da lì, si è collegato in videoconferenza con il reggente M5S Vito Crimi e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio: ha spiegato quanto sia delicata e difficile la stesura del decreto.

Con una consapevolezza: va fatto subito. Prima che la situazione degeneri ulteriormente, prima che escano altri boss. Segnando un danno d' immagine enorme per il governo guidato da Giuseppe Conte. E infatti, subito dopo, il ministro della Giustizia ha sentito il presidente del Consiglio. Che ha capito di dover seguire la vicenda da vicino anche perché gli è giunta eco della preoccupazione del Quirinale per l' impatto delle scarcerazioni sull' opinione pubblica.

Il capo dello Stato sorveglia l' intera operazione e dai suoi uffici filtra la richiesta di un testo che valuti bene il problema della retroattività: lo scoglio su cui si sono infrante le intenzioni iniziali di Bonafede, che non può fare un provvedimento in contrasto con l' autonomia della magistratura e ha dovuto ridimensionare il testo che aveva immaginato.

Il Pd, in tutto questo, non intende infierire. La pedina Bonafede non può saltare senza che vada tutto in aria. Ma un dirigente dem ricorda come il guaio, prima ancora del Dap, sia stato il non voler affrontare davvero e per tempo il problema del sovraffollamento delle carceri.
Lasciando che poi, davanti all' emergenza sanitaria e ai disordini, a prevalere fossero panico e confusione.