Mario Aiello
Prima aveva detto ai suoi: «Farò un discorso contro i pm che farà tremare i legni e i muri del Senato». Poi, prima di andare in aula, ha corretto il tiro e nei whattsapp agli amici scriveva: «Non calcherò troppo la mano, perché ci serve anche il favore del Pd». Detto, fatto. Sferzante Renzi a Palazzo Madama, sul caso Open, ma non in maniera così terribile come ci si sarebbe aspettati e questo perché, politicamente, ha creduto - e giustamente - che non esagerare gli sarebbe convenuto.
Il leader di Italia Viva ha avuto così un successone ieri in Parlamento. Riassumibile così: finisce davanti alla Corte Costituzionale il caso della fondazione Open che lo vede coinvolto per finanziamento illecito.
La Consulta dovrà valutare se la Procura di Firenze ha violato i diritti di parlamentare di Renzi usando nell'accusa le sue chat private. Lo ha chiesto l'aula di Palazzo Madama che con il benestare di 176 senatori ha approvato la relazione della Giunta delle immunità secondo la quale i messaggi acquisiti nell'inchiesta dei pm fiorentini vanno considerati come fossero corrispondenza e per questo i magistrati avrebbero dovuto chiedere un'autorizzazione al Senato prima di utilizzarli. Il leader di Italia viva va via prima della votazione e i suoi assicurano che era molto soddisfatto del risultato tanto che sui social a fine seduta scrive: «Il Senato oggi si è espresso con una maggioranza schiacciante perché anche i pm fiorentini rispettino la legge e la Costituzione. Una bella giornata».
L'AFFONDO Tutto il resto lo ha detto nell'emiciclo in 25 minuti, nel corso dell'unico intervento in discussione generale, dove ha attaccato («Ma avrebbe potuto essere assai più tosto», dicono gli amici più cari e più estremi) magistratura e stampa. Argomentando così: «Noi rispettiamo la magistratura.
Chiediamo che la politica faccia i conti con la realtà, senza prendercela con i giudici». «Su questo tema - sottolinea Renzi - si combatte una battaglia di civiltà giuridica e di dignità della politica. Qua parliamo di Costituzione». E tra gli applausi del suo gruppo tira dritto e va a quello che secondo lui è il cuore della questione: «Fare politica non è reato, è questa la differenza da capire altrimenti il giustizialismo è già dentro di noi».
SCOMPOSIZIONI Per il fondatore di Italia Viva non spetta ai magistrati stabilire che cosa sia un partito e cosa no. Si tratta di «denari trasparenti» e «bonificati» assicura. E poi si rivolge con forza alla stampa: «Difendiamo la libertà di informazione, ma non restiamo in silenzio davanti a una velina della Procura che vale di più di una sentenza della Cassazione».
Infine una nota personale: «Non è consentito a nessuno violentare la vita delle persone pensando che questo sia giusto», dice riferendosi alla lettera «intima» di suo padre Tiziano «data in pasto» ai media. «Vi auguro non accada a voi quello che è accaduto a me», conclude. L'intervento in aula non è stato il «terremoto» che Renzi stesso aveva annunciato nei giorni scorsi, ma il risultato politico sembra essere arrivato: maggioranza spaccata e alleanza giallo-rossa, almeno per ora, compromessa.
Pd e M5s che in Giunta si erano astenuti compattamente, ieri invece hanno avuto posizioni contrapposte: i dem si sono messi dalla parte di Renzi con il centrodestra («Non possiamo regalare Matteo a Salvini e a Berlusconi», dicono big del Nazareno) e con Italia viva, mentre i pentastellati si sono schierati contro, insieme a Leu, arrivando a 76 contrari. Dai tabulati risultano assenti 18 stellati: un segnale politico? I dimaiani che del giustizialismo non ne possono più? Intanto dal Nazareno ci tengono a precisare che «quella del Pd è una scelta basata solo sul merito.
GIUSEPPE CONTE CON ENRICO LETTA
Non ci sono altre valutazioni». I contiani, sconfitti, sono molto arrabbiati con il Pd. Il che potrebbe avere conseguenze per l'alleanza alle Comunali. A proposito delle quali, c'è richiesta trasversale di tenerle insieme ai referendum in modo da aiutare la partecipazione ai quesiti sulla giustizia e risparmiare soldi pubblici. La richiesta al governo di accorpare le consultazioni è arrivata attraverso un ordine del giorno al Milleproroghe presentato alla Camera dalla Lega e approvato con il contributo di tutti i gruppi: su 380 presenti, 372 hanno votato sì, 7 no.