Le nuove rivelazioni choc dell'inchiesta. Il pm indagato per corruzione: «Ho parlato di Roma, di Lo Voi, di Creazzo: possono dire che sono quello che fa le nomine». Le mire dei congiurati: «Ridimensionare» la procura di Napoli e ricattare Pignatone. «È un matto vero, uno stronzo. Tu devi solo fargli capì che finisce male». Il pm Sirignano a Palamara: «Uccidere questa gente significa andare a mettere le pedine nei posti giusti».
L'informativa del Gico della Guardia di Finanza è un pozzo senza fondo. Letta dall'inzio alla fine, disegna un sistema mefitico di intrallazzi e operazioni oscure che hanno un solo obiettivo: la gestione assoluta del potere. In particolare, del potere giudiziario in Italia. Fuori ogni canone costituzionale. Fuori ogni logica democratica.Protagonisti della storia, come sappiamo dalle cronache delle ultime due settimane, toghe di primo livello della magistratura italiana, e alcuni politici che tramano – insieme a loro – per piazzare uomini graditi in cima agli uffici giudiziari più delicati del Paese. Regista indiscusso del film horror sulle nomine, almeno a leggere le trascrizioni delle registrazioni effettuate dal trojan piazzato dal Gico della Guardia di Finanza nel suo cellulare, è Luca Palamara.
Il boss della corrente centrista di Unicost, indagato a Perugia in merito a una presunta corruzione per alcuni viaggi e utilità che avrebbe ricevuto dall'imprenditore Fabrizio Centofanti, è stato ascoltato per mesi.
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Finito d'improvviso nel gorgo di una crisi morale ed etica che ha pochissimi precedenti nella storia repubblicana (cinque componenti del Csm si sono già dimessi, e ieri lo scandalo ha travolto il sindacato della categoria, l'Anm: ne ha fatto le spese il presidente Pasquale Grasso, di Mi, che ha lasciato l'incarico; al suo posto è stato eletto Luca Poniz, della corrente di sinistra Area).
Già sappiamo che i congiurati, in un incontro notturno avvenuto lo scorso 9 maggio in un hotel romano, discutevano - in un clima a metà tra mercato delle vacche e riunione carbonara – delle nomine delle più importanti procure italiane.
Sappiamo anche che per Roma il preferito del gruppetto era Marcello Viola, di cui Palamara voleva diventare braccio destro, in modo da provocare una «discontinuità» (scrive il Gico) rispetto alla gestione di Giuseppe Pignatone. Sappiamo soprattutto che Lotti (imputato nel caso Consip) ragionava di alcuni dossier da usare contro Paolo Ielo, cioè il pm che lo ha rinviato a giudizio per favoreggiamento. Sappiamo infine che molti astanti si informavano su altre carte che avrebbero potuto inguaiare la candidatura di Giuseppe Creazzo, il procuratore di Firenze che ha fatto arrestare qualche mese fa i genitori di Matteo Renzi.
«DIRANNO: IO SONO LA P5»
Ma il pozzo, come detto, è senza fondo. E se il pm Giuseppe Cascini ha invocato la P2, la loggia massonica guidata da Licio Gelli, le nuove intercettazioni pubblicate ora dall'Espresso descrivono comportamenti allarmanti da parte di pubblici ufficiali. Ricatti incrociati, minacce, veleni, dossieraggi contro i nemici. Fughe di notizie, e un uso strumentale dei giornali. Condotte che per qualcuno (a oggi il fascicolo sulle nomine non ha indagati, ma sono una dozzina i magistrati finiti nel fango etico dell'inchiesta di Perugia) potrebbero essere al limite dell'eversione.
Per bocca degli stessi protagonisti dell'affaire, infatti, le manovre appaiono delineare una sorta «di P5».
La definisce così proprio Palamara, quando – parlando con Stefano Fava, l'amico pm che ha depositato un esposto al Csm contro Ielo e Pignatone, in merito a presunti confitti d'interesse per alcuni contratti avuti da rispettivi fratelli, due avvocati professionisti) – inizia a temere di essere stato intercettato per lungo tempo.
Fava: «Penso che ti ha intercettato, sto pezzo...»
Palamara: «Io non lo escludo più»
Fava: «Io non ho mai visto un'indagine fatta da Perugia... su un magistrato romano... mai!»
Palamara: «Eh! Beh! L'informativa è del Gico... è di coso...»
Fava: «Del Gico... Ovviamente è sicuro questo... perché ovviamente il Gico indagava nel nostro procedimento»
Palamara: «Liguori mi ha detto... che ero archiviato... però a questo punto secondo me non è vero».
Palamara sa che la notizia dall'indagine su di lui è arrivata al Csm.
Palamara: «Ma io, se mi chiama qualcuno in Prima Commissione (del Csm, ndr) devo dire: “Signori, voi mi chiamate qui... io purtroppo conosco questa storia... ve la dico oggi... la so da un anno e mezzo...»
Fava: «Eh»
Palamara: «Vediamo, come dici tu... per il fascicolo loro mi fanno vedere le intercettazioni? Ci dovrebbero... mi dovrebbero dare pure quelle... e che teoricamente sono irrilevanti ai fini dell'ipotesi principale no? Perché se io parlo... se a Roma viene Lo Voi, o Creazzo...»
Fava: «Vabbè certo... certo»
Palamara: «Eh... però loro ti possono dire che io sono la P5... che sono quello che fa le nomine!»
Fava: «Certo! Certo!»
Palamara: «E quindi in teoria mi possono... è pazzesco... capisci che ti voglio dire?»
UN LIBRO CONTRO PIGNATONE
Palamara è arrabbiato. Sa che l'inchiesta per presunta corruzione dei pm di Perugia rischia di farlo finire nella polvere, e di far saltare tutta l'operazione. Che sembra essere composta da due fasi diverse: da un lato, spingere il suo candidato per Roma (Marcello Viola) nella commissione del Csm che deve scremare con un voto i 13 candidati (la speranza è che lui stesso poi diventi il suo braccio destro) e lavorare per trovare un buon successore del procuratore De Ficchy a Perugia.
In secondo ordine distruggere – attraverso dossier e veleni sparsi a piene mani – quelli che considera i suoi avversari: a partire da Creazzo, che con Lo Voi e Viola è il più accreditato successore di Pignatone, fino ai suoi nemici mortali. Cioè lo stesso Pignatone e Paolo Ielo, i due che hanno osato inviare a Perugia, che ha competenza a indagare sui reati dei magistrati capitolini, la storia dei presunti viaggi pagati da Centofanti.
Sul tentato dossieraggio a Ielo l'Espresso ha già scritto negli scorsi giorni. Il report del Gico, però, mostra anche l'odio feroce che Palamara sembra nutrire verso Pignatone. I rapporti un tempo tra i due, ricorda Luca a Spina che non si capacita, erano un tempo più che buoni. Ora, secondo il pm, il suo capo (oggi in pensione) è diventato il perno di un oscuro complotto contro di lui. Per questo, dunque, bisogna punirlo:
Palamara: «... E soprattutto quel matto di Pignatone. Perché il matto vero è Pignatone...»
Spina: «E che c'ha da capì»
Palamara: «Perché tu... dopo tutte ste cose che sappiamo...»
Spina: «Luca... ma come che c'è da capire... ancora non hai capito. Il potere! Luca...»
Palamara: «Esatto. Ma qualcuno ha ricattato Pignatone... Pignatone...»
Spina: «Eh ma...è ricattabile Pignatone...»
Palamara: «Lo Voi (il procuratore capo di Palermo, ndr) lo fa Pignatone.... il ricorso di Guido Lo Forte (ex procuratore che nel 2015 fece ricorso al Tar e al Consiglio di Stato contro la designazione di Lo Voi, vincendo in primo grado e perdendo al secondo)... c'è pure Pignatone in mezzo... vabbè è meglio che non ti racconto... loro sono dei matti perché Peppe, Peppe...»
Spina: «È soltanto potere»
Palamara: «Scherza col fuoco... tu devi solo fargli capì... secondo me, se gli fate rode il culo finisce male»
Leggendo la trascrizione del Gico, dunque, Palamara suggerisce a Spina di andare a fare pressioni su “Peppe” (cioè Pignatone). Se non lo lasciano stare, se non mollano la presa, questa sembra essere l'antifona, lui potrebbe vendicarsi. Non si sa con quali mezzi. Né è chiaro che cosa c'entri la vecchia nomina di Lo Voi a Palermo.
Quella nomina decisa dal Csm, infatti, fu contestata sia da Lo Forte sia dal collega Sergio Lari. In primo grado il Tar diede ragione a questi ultimi, ma il Consiglio di Stato ribaltò poi la decisione, confermando Lo Voi al suo posto.
La sentenza a Palazzo Spada fu firmata dal presidente Riccardo Virgilio e da Nicola Russo, come ha scritto il Fatto Quotidiano qualche giorno fa. Il primo è stato indagato e il secondo è finito in carcere proprio a seguito di un'inchiesta della procura di Roma (e di Messina) su una sospetta compravendita di sentenze, ordita dall'imprenditore Piero Amara.
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L'Espresso ha letto le nuove intercettazioni. Stavolta l'ex ministro e il pm indagato per corruzione sono soli a cena. Il renziano contro Ielo: «Su di lui a noi la decisione. Che si fa? Si spinge? Una volta fatti anche i procuratori aggiunti». Il magistrato: «Fava è un matto. Siccome non mi frega un cazzo di nessuno, ora vado fino in fondo»
Palamara: «A Stefano (Fava probabilmente, ndr) gli raccontavo i fatti, e lui diceva, allora c'è qualcosa che non va...”guarda che ti vogliono inculare, occhio che lo utilizzano (Centofanti, ndr) come arma di ricatto”, mi faceva “dimmi la verità, hai fatto qualche processo e l'hai aiutato”. “Stefano, mai: perché non stavo in ruolo, nel 2011 ero nel pieno dell'Anm”...e allora (Stefano) ha iniziato a dire, viene fuori il fratello di Pignatone, di Ielo... mi ha detto “fottitene, vai in fondo, qualsiasi cosa ti fanno, li vendi”»
“Li vendi”. Palamara, che si autodefinisce «la P5», dice proprio così. Minaccia e sbraita, ipotizza apertura di fascicoli e intimidazioni assortite e poi, con una capriola logica, definisce in un'altro colloquio con Fava i suoi nemici «dei banditi...ricattatori di professione». L'idea finale dei due amici è quella di scrivere un libro contro di loro. Contro Pignatone, in particolare.
Palamara: «Cioè qui la cosa... è capire se pure Sebastiano (presumibilmente Ardita, pm e consigliere attuale del Csm della corrente di Davigo, ndr) capisce che cazzo c'è dietro. Sebastiano è forse l'unico che può capì sti ricatti»
Fava: «ma ora, ieri, ha chiamato a Erminio...»
Palamara: «Però dopo lo sai che facciamo, facciamo un libro, io faccio un libro, no non sto scherzando»
Fava: ...(ride)...
Palamara: «... Na specie de ricatto...tu mi dai le co..eh..e tutto... è diciamo quello che cazzo è successo»
Fava: «Il titolo è “Ricatto alla Palermitana”...”Ricatto” punto “alla Palermitana»
Palamara: «alla Palermitana...»
DAVIGO E ARDITA, «I NOSTRI ALLEATI»
Le intercettazioni sul trojan mostrano manovre e operazioni di ogni tipo. In qualche caso i protagonisti parlano di strategie che mettono a punto in prima persona. Altre volte, invece, si discute di soggetti apicali della magistratura e delle istituzioni italiane, si ipotizzano alleanze con assenti e si millantano entrature nei Palazzi (come quella che Lotti vanta con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha smentito categoricamente di aver mai parlato con il renziano, o con chicchessia, di nomine di giudici.
Dunque, le parole degli intercettati su persone terze vanno prese con le pinze.
Come quelle su Davigo (membro del Csm e capo della corrente di Autonomia e Indipendenza) fatte da Ferri («cioè il nostro alleato è Davigo, più Davigo di Ermini», dice il deputato Pd; Davigo, è un fatto, ha votato a favore di Viola, ma può certamente averlo fatto per convinzione personale).
E come i tanti apprezzamenti che il gruppo, nel famoso incontro del 9 maggio, fa nei confronti di Ardita, neo membro del Csm in Prima Commissione (dove è finito l'esposto di Fava contro Ielo) e davighiano di ferro.
Spina: «Cè coso che vuole spingere... Sebastiano... digli di stare calmo..»
Ferri: «Ti volevo dire... scusami... ma voleva convocare Ielo?»
Spina: «No, voleva convocare Fava...per farsi...»
Corrado: «Calma, calma, calma...»
Spina: «Calma... più sta quella pratica meglio è»
Ferri: «Però Ardita lo inizio a rivalutare»
Palamara: «Sì»
Ferri: «È tosto... e nostro alleato è diventato... sai cosa, io l'ho capito Ardita... lui vuole rientrare e prendere in mano Magistratura indipendente politicamente... come segreteria, perché lui il cuore ce lo ha lì, dai»
Spina: «È più a destra di tutti Ardita, ragazzi...»
Ferri: «E poi lui gli piace la politica, perché è uno che ragiona... cioè lui non è un coglione».
Anche Palamara lo stima molto. Tanto che, qualche giorno dopo, discettando con Fava dei suoi problemi giudiziari (anche questi finiti davanti alla Prima Commissione del Csm), dice: «Questo ormai è un rica... è una storia pazzesca... poi a chi va a finire in prima commissione, per fortuna che c'è Sebastiano Ardita...».
IL CASO NAPOLI
I magistrati Palamara e Spina parlano di nomine e magheggi anche in auto. Non sanno che il Gico li sta intercettando. Ricordano di quando dovevano «inculà (Francesco, ndr) Cananzi». Palamara letteralmente spiega che «a Napoli abbiamo dato una marea di inculate... Cananzi ha iniziato a dare le botte contro il muro... ad urlà come un pazzo... perché il patto tra me, Massimo e Alberto... era il ridimensionamento di Napoli... quella era la mia politica precostituita».
Poi i due parlano di Cesare Sirignano, importante pm antimafia, anche lui – vedremo - intercettato dal trojan di Palamara.
Palamara: «Ognuno di Napoli si scredita con l'altro. Cioè, la Sica dice che Sirignano non conta un ca... Sirignano dice che la Sica non conta un ca... Sirignano su Napoli è l'unica carta che ci possiamo giocare...in questo momento mi fido di più di Sirignano».
In effetti, il pm indagato per corruzione e Sirignano (magistrato che contribuì ad arrestare il sanguinario boss Giuseppe Setola e che interrogò per primo Antonio Iovine, capo dei Casalesi) in un dialogo captato il 7 maggio sembrano davvero in ottimi rapporti.
Anche loro discutono di nomine e di pedine da muovere sul tavolo della scacchiera del potere giudiziario (in particolare Palamara voleva mettere a Perugia Giuseppe Borrelli, magistrato napoletano che – secondo l'indagato e Sirignano – avrebbe potuto gestire la denuncia contro Ielo di Fava; Borrelli ha però smentito duramente le parole intercettate di Sirignano, inviando una relazione di servizio al suo procuratore capo Giovanni Melillo).
Ma, soprattutto, parlano di possibili vendette.
Palamara: «Eh no tu hai detto Borrelli... Borrelli non ce l'hai?
Sirignano: «Borrelli è come hai detto tu... viene dopo di Maresca.... perché Maresca (presumibilmente Catello, ndr) è Unicost sicuramente, Borrelli mezzo e mezzo...»
Palamara: «E quindi che facciamo su Perugia? Tu mi hai chiesto che volevi... che bisognava dargli quello»
Sirignano: «Si perché tu non hai alternative... perché non puoi fare andare Antonio D'Amato come si prospettava»
Palamara: «Non si può Viola a Roma e D'Amato, no»
E quando Palamara chiede se Borrelli è in grado, una volta diventato capo a Perugia, di aprire un'inchiesta penale contro Ielo, Sirignano sembra capire al volo di che sta parlando il sodale:
Sirignano: «Ma quella cosa lì di quale, di Fava? ... E quindi che cosa significa quella cosa lì deve andare avanti contro questi qua?
Palamara: «Eh... deve aprire un procedimento penale su Ielo... cioè stiamo a parlà di questo... non lo farà mai!»
Sirignano: «Io non lo so se Ielo è amico di Melillo... Se sono della stessa parte... tieni conto che Melillo e lui stanno in contrasto però»
Palamara: «Melillo e Borrelli?»
Sirignano: «Se voi non li uccidete questi qua...»
Palamara: «...non lo faremo mai...»
Sirignano: «...è chiaro che questa cosa non si fa»
Palamara: «Esatto»
Sirignano: «Uccidere questa gente significa andare a mettere le pedine nei posti giusti...significa dare visibilità alle vostre scelte».
Qualche giorno fa Sirignano, dopo la pubblicazione di poche frasi del dialogo rispetto a quelle che leggete ora, ha spiegato di non essere indagato, di essere estraneo a manovre di ogni sorta e ad accordi opachi di ogni genere. Chissà se poteva immaginare mai che l'amico Palamara, intercettato, era quello che si autodefiniva quello della «P5».
(fonte L'Espresso)