di Fabrizio Gianino
Che sia proporzionale o maggioritario, il nuovo sistema elettorale non può non prescindere dalle preferenze. E’ questa la sfida dirimente dopo il successo del Sì al referendum. Il principio per cui i rappresentati devono poter scegliere i propri rappresentanti è sacrosanto; del resto, la stessa Corte costituzionale ha affermato che le liste lunghe e bloccate sono incostituzionali.
Le segreterie dei partiti diranno che il rischio che si corre introducendo le preferenze è favorire il voto di scambio. Dunque, seguendo tale ragionamento si dovrebbe rinunciare ad ogni attività che potrebbe essere infiltrata al fine di eventuali delitti, come all’applicazione di un principio di civiltà giuridica per timore di eventuali distorsioni. Si fermerebbe il mondo.
La soluzione non è eliminare la scelta dell'elettore, ma prevedere, semmai, correttivi per arginare possibili episodi di corruzione e voto di scambio.
La circostanza che, attraverso le liste bloccate, i partiti poi possono liberamente scegliere chi siederà Parlamento rasserena, per così dire, le forze politiche nella selezione dei rappresentanti. Le preferenze permetterebbero di risolvere, o quanto meno attenuare, questa distorsione per nulla democratica.
I partiti, per evitare un crollo dei consensi, sarebbero costretti ad alzare il livello dell’attenzione e così si rinsalderebbe il rapporto elettore-eletto non più ridotto ad una mera logica numerica ma espressione di un tangibile legame tra rappresentante e rappresentato.
Al termine della legislatura, poi, i cittadini saprebbero valutare se il politico ha agito bene o meno e, ove si ricandidasse, confermargli la fiducia o meno. Le preferenze, in altre parole, favorirebbero la riconoscibilità del politico e ne aumenterebbero la pressione ad agire non per interessi privati ma nell’esclusivo interesse dei cittadini.
Altro punto di favore: le preferenze disinciviterebbero condotte censurabili come il cambio di casacca, troppo elevato sarebbe il rischio per il parlamentare di perdere credibilità davanti al corpo elettorale.
In tal modo, a mio parere, anche i leader dei partiti rimetterebbero realmente al popolo il giudizio sul proprio operato e avrebbero un’investitura rapportata al consenso, sostanziale e non più solo formale.
Dunque, avremmo finalmente un Parlamento effettivamente legittimato, piena espressione della società che rappresenta.
In Italia il voto di preferenza manca dalle politiche del 1994, quando il Mattarellum superò il sistema elettorale approvato nel ‘46 che prevedeva la possibilità per l’elettore di esprimere fino a 4 scelte. E’ passato troppo tempo da allora. È il momento di tornare a dare piena voce al popolo. La politica batta un colpo.