29 febbraio 2024

SCHIFANI CONTRO FORZA ITALIA


 La scorsa settimana, a Roma, è stato celebrato il primo congresso nazionale di Forza Italia dell’epoca post Berlusconi. Il primo congresso senza un vero leader carismatico ed empatico capace di mettere tutti d’accordo. Il nome di Silvio Berlusconi campeggiava ovunque e sembrava quasi che stesse per arrivare, ma alla fine il congresso si è rivelato in tutto e per tutto l’apoteosi delle mezze figure. Il congresso, col placet di Paolo Berlusconi intervenuto in rappresentanza della famiglia, ha consacrato la nomina di Tajani a Segretario Nazionale del Partito. Il nostro Presidente Schifani, che ambiva al podio che è stato attribuito a Tajani  s’è ritrovato a capo del Consiglio Nazionale di Forza Italia, organo inutile. Praticamente si è dovuto accontentare dello strapuntino.

Ma se Schifani si è ritrovato ai margini di un partito che non gli riconosce alcuna autorevolezza e che non sopporta più né il suo dolce far nulla, né i suoi rancori, né la sua sottomissione alle più alte gerarchie di Fratelli di Italia, in Forza Italia c’è un altro grande sconfitto nella missione siciliana al Palazzo dei Congressi dell’Eur a Roma.

Il suo nome è Edy Tamajo, recordman regionale delle preferenze, assessore regionale alle Attività Produttive, già indicato da Schifani come candidato di punta di Forza Italia alle prossime elezioni europee, con lo scopo di raggranellare quanti più consensi possibili dopo la dipartita politica di Cuffaro all’interno di Forza Italia (opzione fortemente auspicata da Schifani ma bocciata da tutto il resto del partito).

Nonostante le qualità politiche del Deputato ed Assessore Palermitano, e nonostante Schifani, almeno all’apparenza, gli faccia credere di considerarlo per la sua competenza ed autorevolezza personale e politica, al primo congresso nazionale di FI, lo ha concretamente fatto fuori da tutto. 

Praticamente il più “futuribile” fra gli esponenti politici di Forza Italia,  assieme a Marco Falcone, s’è ritrovato quasi con un pugno di mosche in mano. Infatti non farà parte della segreteria nazionale, dove ha avuto accesso – grazie all’indicazione di Schifani – l’attuale commissario regionale e capo della segreteria tecnica del presidente della Regione, il ventriloquo Marcello Caruso; né del Consiglio nazionale, dove è finito nientemeno che Gianluca Inzerillo, Consigliere Comunale di Palermo, già parte del gruppo di riferimento dell’On. Edy Tamajo, ma che lo ha spodestato grazie alla mediazione dell’On. Giorgio Mulè, Vice Presidente della Camera dei deputati. I più insidiosi, dicono, grazie alla mediazione di Gianfranco Miccichè, acerrimo nemico di Schifani e altrettanto spregiatore di Tamajo, ma personale amico dell’On. Giorgio Mulè.

Nonostante la clamorosa sconfitta ed esclusione Tamajo afferma “Guardo con grande ottimismo a questa nuova fase di Forza Italia poiché sono fermamente convinto che con Antonio Tajani, possiamo portare avanti una nuova rivoluzione liberale”. 

Forse con Tajani si, ma certamente con Schifani non di certo, visto che ha dimostrato di volerlo ostacolare nella crescita. I suoi voti sono buoni e farebbero certamente bene al partito siciliano ma senza che il portatore del consenso abbia troppo spazio. E del resto a Tamajo il Presidente Schifani ha preferito Marcello Caruso, che di voti non ha nemmeno il suo, ma che fa parte del suo cerchio magico dei pagnottisti della squadra di Palazzo D’Orleans.

Praticamente Schifani si è comportato con Tamajo come l’allenatore che tiene in panchina la miglior punta – Tamajo capirà, da grande uomo di sport quale è – non perché ha paura di bruciarlo, ma piuttosto perché teme che possa prender troppo campo ed ambire a postazioni a cui Schifani non intende rinunciare a danno della sua squadra inutile di professione. Insomma, una forma di rancore in potenza che rischia di pregiudicarne la corsa.

Indubbiamente il governatore siciliano non rientra nelle grazie di Tajani (ed il sentimento è reciproco). Serviva uno strapuntino per Schifani e la gang ed è arrivato. Così potrà stare calmo per un po’. Ma senza peso ed importanza. Con l’aggravante che le vere risorse del partito siciliano, quelli che portano il consenso, sono tornate a casea con le pigne nel sacco.  Ma ciò che è peggio, è la spaventosa frammentazione del partito siciliano.  Infatti, pur avendo la Sicilia il secondo maggior numero di delegati (117) il partito siciliano ha dimostrato uno scarsissimo esempio di coesione. FI Sicilia si è disgregata dall’interno, offrendo il proprio supporto a differenti vicesegretari (comunque tutti eletti): la corrente Schifani-Caruso, sostenuta dall’ala messinese (vicina alla parlamentare regionale Bernardette Grasso) e dalla filiera di Marcello Dell’Utri (con dentro Gallo Afflitto e gli agrigentini), ha sostenuto la corsa dello sconosciuto Stefano Benigni, amico e collaboratore (qualcuno dice di più) di Marta Fascina, la cui ascesa non disturba; il nucleo ennese, capitanato da Luisa Lantieri, si è schierato al fianco di Deborah Bergamini, vicecapogruppo alla Camera, eletta per acclamazione vicesegretario vicario (il metodo ha fatto discutere); infine il gruppo di Marco Falcone e dei siracusani si è schierato con Roberto Occhiuto, governatore della Regione Calabria e compagno di Matilde Siracusano, attuale sottosegretario ai rapporti col Parlamento. Il quale era stato invitato da Schifani, seppur implicitamente, a farsi da parte ed invece ha visto la sua battaglia con sostegno di Marco Falcone sempre più lontano dalle posizioni di Schifani.

Insomma, ognuno è andato per conto proprio ed il quadro generale restituisce la realtà di un partito siciliano spaccato, privo di leadership e senza un indirizzo politico. Non solo sotto il profilo elettorale, ma anche amministrativo: ne è prova il fatto che l’esecutivo di Schifani non combini praticamente nulla di buono da tempo e che alcuni dei deputati regionali di Forza Italia, in due differenti occasioni, si siano mischiati ai franchi tiratori dell’Ars e abbiano contribuito alla bocciatura della norma “salva-ineleggibili” e della reintroduzione del voto diretto nelle province. Ciò che è successo a Roma, a centinaia di chilometri da casa, è la dimostrazione plastica di una frattura che per le Europee, con le candidature in campo (Tamajo e Falcone quasi certi), potrebbe deflagrare in qualcosa di inaspettato. 

Intanto già oggi sono iniziate le prime epurazioni post congresso nazionale. Tamajo (ed invero nemmeno Schifani) non hanno digerito la promozione di Inzerillo ai piani alti del partito e per questo l’hanno già delegittimato da capogruppo al Comune di Palermo. Al suo posto è stato nominato Ottavio Zacco, fedelissimo di Tamajo. “Siamo pronti a ripartire con questo nuovo assetto e con grande coesione interna al gruppo – affermano i consiglieri di Forza Italia – con un “passaggio di testimone” per affrontare le sfide che ci attendono in Consiglio”. 

Una scelta, però, che rischia di suonare sinistra anche nei confronti di Tajani, che a Roma l’ha ospitato nella propria squadra. 

Questa, in verità, non è la Forza Italia di Berlusconi, né “il secondo miracolo italiano” raccontato in questi giorni da Schifani sulla stampa. Piuttosto è il preludio di una guerra intestina che rischia di portare Forza Italia siciliana ad una disfatta alle Europee ed a preparare il terreno per la dipartita di un Presidente Schifani sempre più ai margini della politica (nazionale e regionale), incapace di governare e di amministrare, intento solo a fare incetta di posti di sottogoverno, a vantaggio della sua banda, consci che potrebbe anche per loro essere l’ultimo giro di giostra.